Sallca Cub – CCNL: IL FINTO DUELLO TRA ABI E SINDACATI

Da Segreteria Nazionale CUB-SALLCA

Dopo un giro di assemblee sonnacchioso, dagli esiti plebiscitari, su una piattaforma evasiva, sostenuta dalla abbacinante richiesta economica di 175 euro al mese, è partita la trattativa sul CCNL.
Per ora sono stati incontri inconcludenti, dove non si è entrati nel merito dei problemi.
Ci aspettiamo che le cose cambino a breve, perché l’ABI ha intenzioni bellicose e intende ottenere molto da questo rinnovo. Le organizzazioni sindacali che trattano temono, più di ogni altra cosa, lo scontro duro e quindi scelgono il rinvio per prendere tempo.
Diamo conto delle notizie che trapelano e invitiamo ad una grande attenzione per le mosse dei nostri avversari, seduti su entrambi i lati del tavolo….

Scarica qui il comunicato:

Sallca Cub – CCNL: IL FINTO DUELLO TRA ABI E SINDACATI

(Immagine: www.theguardian.com)

La farsa della Fabi.

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Nel 2012 ci hanno imposto un contratto che di colpo abbatteva norme ed istituti contrattuali consolidati, frutto di miglioramenti lenti e conquiste storiche con la scusa che altrimenti l’ABI avrebbe disdetto il contratto. Ci avevano promesso 25.000 nuove assunzioni, il rientro delle lavorazioni in azienda. La realtà: esternalizzazioni, dismissioni e nuovi esuberi. Tutta la parte “positiva” dell’accordo, quella che doveva compensare i “sacrifici” dei lavoratori, è rimasta lettera morta. Ed ora hanno il coraggio di chiederci di firmare loro una nuova cambiale in bianco?

Se i Sileoni, i Masi, i Gallo avessero avuto un minimo di consapevolezza, all’indomani dell’approvazione di un CCNL da “lacrime e sangue” lontano anni luce dalla piattaforma approvata dai lavoratori nelle assemblee, si sarebbero dimessi. Invece sono ancora qui, tronfi e boriosi; ma cosa vogliono ancora? … continua …

Avevamo ragione: i banchieri sono il peggio dei padroni

noccnlAvevamo ragione: i banchieri sono il peggio dei padroni

Care colleghe e colleghi, i banchieri hanno disdettato unilateralmente il CCNL.
Quel CCNL che le lavoratrici ed i lavoratori non volevano perché non risolveva i problemi della categoria, regalava diritti, salario e continuava ad operare divisioni generazionali.

I banchieri ingordi non si accontentano, ora vogliono tutto, ecco i punti con cui il 16 settembre ABI ha motivato la disdetta con le OO.SS.:

1) la fase di recessione in Italia è ancora in essere, con il Pil in contrazione dal terzo trimestre del 2011.

2) Dal 2008 al 2013 l’Italia ha perso 8 punti di PIL, ai quali vanno aggiunti 5 punti di mancata crescita, mentre Germania e U.S.A. hanno già raggiunto i livelli pre-crisi.

3) L’industria bancaria registra una caduta di redditività che impedisce margini di guadagno.

4) In Europa si sta realizzando una centralizzazione dei back office e una riduzione delle reti fisiche, con il relativo aumento di quelle telematiche.

5) In Italia il costo del lavoro bancario è più alto del 39%; il rapporto tra sportelli e abitanti è di 55 ogni 100.000, contro il dato europeo di 41; le recenti riforme regolamentari impongono gravose ricapitalizzazioni; la fiscalità è di gran lunga la più alta; la riduzione dei volumi e delle attività implementano costantemente gli addetti in eccedenza; la riforma pensionistica comporta un insostenibile incremento degli anni di permanenza al lavoro; gli oneri del Fondo Esuberi causano una progressiva insostenibilità, mentre la questione “ esodati “ non è stata ancora risolta; il personale è addensato nei livelli di inquadramento più alti; si registra una forte resistenza al cambiamento; alla riconversione e alla riqualificazione professionale.

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ABI VERSO LA DISDETTA DEL CONTRATTO

Fonte: Ilgattorandagio.org

logo Unisin RomaABI VERSO LA DISDETTA DEL CONTRATTO

La notizia apparsa sui giornali di oggi che l’Associazione Bancaria sarebbe in procinto di disdettare anticipatamente ed unilateralmente il Contratto Nazionale, se confermata, rappresenta un segnale devastante non solo per la categoria ma per l’intero Paese.
Evidentemente i banchieri avrebbero deciso di proseguire sul vecchio percorso che li vede rispondere alle difficoltà con ricette auto conservative e fortemente disallineate rispetto agli interessi generali delle imprese, delle famiglie, delle comunità locali e dell’occupazione.
Unità Sindacale ha più volte richiesto che si apra finalmente un tavolo di confronto sul ruolo delle banche in Italia, per ridefinire la loro missione di servizio all’effettivo sviluppo del Paese, e lo ha fatto rivolgendosi direttamente alle banche ed alle forze politiche ma, evidentemente, gli interessi di quella finanza neoliberista che ci ha condotto all’attuale gravissima situazione economica e sociale continuano a prevalere. Continua a leggere

L’ABI prepara la disdetta del CCNL?

Ad un anno e mezzo dalla firma del contratto peggiore per il settore del credito solo ora i Sindacati si svegliano dal torpore che li ha colti negli ultimi 2 lustri e si accorgono del danno combinato?

Si comportano da “verginelle”, si stupiscono di quanto sta accadendo e lanciano anatemi nei confronti dell’ABI?

Ci avevano “invitato” ad approvare il Contratto pena la disdetta. Ecco dove ci ha portato la politica concertativa, o meglio di accettazione indiscussa dei diktat dell’ABI!!

Tutti i colleghi hanno potuto constatare la serietà e la fondatezza delle motivazioni che stavano alla base dell’opposizione frontale di quanti si sono battuti contro la firma del contratto aiuta-banchieri proposto da Sindac-ABI.

Ora gli stessi sindacalisti che ci hanno guidato in questo pantano ci vorrebbero chiamare alla lotta per difendere i nostri diritti, quegli stessi diritti che loro per primi hanno iniziato a svendere?

Peccano di credibilità!

Con questa consapevolezza, ma senza catastrofismo, spetterà ora ai lavoratori dell’intera categoria affrontare queste sfide, supportando coloro che si oppongono con fermezza a questa situazione e traendo le debite conseguenze rispetto a chi è pronto ad accettare sempre e comunque i diktat dell’ABI.

Se ci affideremo ai soliti nomi, Voi pensate che questa volta sarà diverso rispetto ad un anno e mezzo fa?

Banche: Romani (Fiba) con disdetta contratto si andra’ allo scontro

(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Roma, 11 set – La disdetta anticipata del contratto nazionale da parte dell’Abi che verra’ formalizzata la prossima settimana “portera’ a una fase di scontro” con i sindacati. Cosi’ Giulio Romani da pochi mesi nuovo segretario generale della Fiba Cisl. “Siamo molto arrabbiati – osserva Romani interpellato da Radiocor – perche’ le aziende pensano di ridurre i problemi con tagli di costi strutturali, tagli di organici e mirano a riformare l’impianto contrattuale con la precarizzazione”. Romani in vista della convocazione del tavolo di confronto per lunedi’ in Abi ricorda i sacrifici gia’ fatti dai lavoratori con l’ultimo contratto “che ha tagliato del 20% i salari d’ingresso”. Al sistema bancario converrebbe invece, in questa fase, puntare a una pace sociale per cercare soluzioni con il contributo dei lavoratori.

(Via Borsaitaliana.it)

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MONTE DEI PASCHI: DEVONO PAGARE SOLO I LAVORATORI?

La vicenda MPS assume i toni della tragedia greca, con il suicidio del capo comunicazione David Rossi, da sempre al fianco del principale responsabile di questo disastro, quel Giuseppe Mussari che fino a due mesi fa è stato presidente ABI, con ben due mandati.

Fatta salva l’umana pietà che si deve a chiunque, vogliamo ricordare alcuni passaggi che stanno prefigurando l’esito peggiore che si poteva ipotizzare: i costi del risanamento vengono posti a carico, nell’immediato, al contribuente, ed in via strutturale ai lavoratori, che stanno subendo un trattamento profondamente ingiusto.

Mentre la magistratura procede nel suo lavoro di scavo, tutti i principali protagonisti sono alla ricerca di alibi per evitare di pagare il fio a pratiche dissennate che hanno rovinato la più antica banca italiana. La “banda del 5%”, come è stata denominata la gang che guidava l’area finanza, era al lavoro da oltre 10 anni, ed ha depredato per sé almeno 40 milioni di euro, ora sequestrati, ma i danni inflitti alla banca nel suo complesso hanno un ordine di grandezza ben superiore. Si parla di un indebitamento complessivo di 17 miliardi di euro, conseguenti all’acquisizione di Antonveneta e a tutte le operazioni cosmetiche messe in piedi per nascondere il buco, mentre la Fondazione cercava disperatamente di mantenere il controllo societario e la senesità della banca.

Oggi tutto è a rischio in quel sistema di soldi e di potere, eppure la Fondazione non rinuncia a pretendere la sua libbra di carne e circola l’ipotesi di uno spezzatino aziendale che consenta ai senesi il controllo di un terzo della banca, quello posizionato nell’Italia Centrale, e la vendita degli altri due terzi al miglior offerente, italiano o straniero che sia.

Ma chi ha la responsabilità di quanto accaduto prende le distanze e cerca di stare lontano dai guai: così Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia ai tempi delle fusioni bancarie ed ora alla Bce; così Anna Maria Tarantola, responsabile della vigilanza Bankit ed ora alla Rai. Al capezzale di MPS sono stati chiamati due banchieri, come Profumo e Viola, che non sono certo facce nuove: hanno giocato ruoli di primo piano in vicende aziendali non troppo dissimili, solo un po’ meno truffaldine (pensiamo ai derivati di Unicredit, piazzati ad aziende ed enti locali che rischiano il tracollo ANCHE per quelle operazioni).

Quello che ci preme di più sono però le sorti dei lavoratori, ultimi a decidere e i primi a pagare sempre. Il piano di Viola e Profumo si è basato sin dall’inizio sul taglio dei costi, attraverso la chiusura di 400 filiali, esodi, esternalizzazioni, azzeramento della contrattazione integrativa aziendale e persino deroghe al CCNL. Con il pieno consenso di Fabi-Fiba-Uilca-Ugl, il piano sta prendendo corpo.

Già prima dello scandalo, l’accordo del 19 dicembre prevedeva 1.000 esodi e 1.100 esternalizzati, da infilare in un veicolo societario con MPS in minoranza. L’acquirente restava (e resta) indefinito, ma entro giugno si sceglierà tra una quindicina di offerte. Inoltre l’accordo riduceva quasi a zero i trattamenti previsti dal C.I.A. lasciando in piedi solo quanto previsto dal CCNL, e neanche tutto, vista la concessione di deroghe, con sacrifici estremamente pesanti, in particolare per i più giovani.

Per fare un esempio, un lavoratore con meno di 6 anni di anzianità viene a perdere, in conseguenza dell’accordo, qualcosa come 80.000 euro nell’arco dell’intera vita lavorativa, senza contare la riduzione delle indennità di cassa e di pendolarismo.

Per fare accettare ai lavoratori questo salasso si è ovviamente provveduto a sospendere la democrazia, violando quelle stesse norme che i sindacati firmatari avevano concordato con le aziende nell’accordo quadro di settore del 24/10/2011. Le “assemblee certificate” sono state svolte in modo separato, ma mentre quelle indette dalla FISAC hanno visto procedure corrette, con 7000 partecipanti e 94% di NO, quelle indette dalle quattro sigle firmatarie hanno prodotto risultati mai resi noti nel dettaglio: il 93% di SI su quale grandezza vanno conteggiati? Quanti lavoratori sono stati consultati? Quanti hanno votato? Interrogativi destinati a restare senza risposta.

Intanto sono stati resi noti i dati definitivi dell’offerta di esodo, con adesioni molto superiori al previsto: anziché 1.000 sono stati ben 1.660 i lavoratori che, avendo il diritto a pensione entro il 2017, hanno accettato di andarsene, per uscire da questo tunnel di paura e di panico.

E’ quindi assolutamente attuale la richiesta, inizialmente sostenuta da TUTTI i sindacati del tavolo, di evitare l’esternalizzazione di migliaia di dipendenti, che uscendo dal perimetro aziendale rischiano tantissimo in termini di mobilità territoriale, di sicurezza economica e garanzia occupazionale.

Ulteriori risparmi potrebbero essere consentiti, come è stato proposto dalla Fisac, da un contributo di solidarietà del 10% sui compensi oltre i 100.000 euro l’anno e soprattutto da un drastico intervento sui compensi del Top Management. A questo si può aggiungere l’accoglimento di un numero maggiore di richieste di part-time in modo da soddisfare tutte le richieste.

L’azienda sembra invece orientata a procedere sul progetto di esternalizzazione, a non prendere in alcuna considerazione una revisione in chiave solidale delle retribuzioni più alte e a reinvestire parte dei suoi risparmi in un sistema incentivante inaccettabile.

La proposta aziendale su questo ultimo tema è infatti un ulteriore tassello di un sistema di relazioni industriali sempre più ingiusto e penalizzante, che punta solo a dividere. Il sistema di incentivi proposto si ispira a principi rigorosi di estrema selettività, copre solo la rete filiali e i centri specialistici, esclude strutture di sede centrale o di area territoriale, restringe la platea dei potenziali beneficiari a circa il 10% dei lavoratori in servizio. L’erogazione dipende dal risultato netto consolidato del Gruppo: se inferiore al 50% nessuna erogazione, se compreso tra 50 e 95% viene erogata la metà del montepremi, se compreso tra 95 e 105% viene erogato l’intero montepremi. Secondo le stesse proiezioni aziendali, anche nel caso più probabile (risultato compreso tra 50 e 95%) solo il 10% delle strutture più performanti (quelle che hanno fatto il 90%) potranno andare a premio, mentre se si raggiunge il 100% andranno a premio solo il 20% delle strutture più performanti.

Come se non bastasse il direttore della filiale premiata può distribuire a sua discrezione il 25% del premio assegnato ai più “meritevoli” della sua squadra.

Il progetto aziendale è quindi sin troppo chiaro: ridurre gli organici, esodare quanto più possibile, escludere dal perimetro aziendale un primo pezzo di lavorazioni (senza garanzie occupazionali in caso di crisi del compratore), scatenare un’aggressiva competizione tra chi resta, fare crollare qualunque collante solidaristico tra i lavoratori, per recuperare a tutti i costi redditività e guadagni. Sullo sfondo resta l’obiettivo di trovare un compratore purchè sia, per evitare la nazionalizzazione del Monte. Un piano di lacrime, sudore e sangue che scarica sui più deboli le conseguenze della gestione dissennata dei manager.

Non deve finire così: ai lavoratori Monte Paschi va fatta sentire la solidarietà fattiva di tutta la categoria, per superare insieme questo momento di estrema confusione e difficoltà.

15/03/2013COMITATO NO AL CONTRATTO AIUTA-BANCHIERI